Il momento dell’IA, dalle parole ai fatti

Nonostante timori e dibattiti apocalittici, l’adozione dell’IA cresce rapidamente: negli USA e in Italia i dati mostrano un uso sempre più diffuso, anche quotidiano. Ma mentre i cittadini colgono i benefici, le PMI restano indietro tra regole e incertezze. Senza strumenti concreti, l’Italia rischia di perdere l’ennesimo treno tecnologico.

di Stefano da Empoli e Andrea Stazi

9/24/20253 min read

Contrariamente ai tanti che ritenevano e ancora ritengono l’intelligenza artificiale generativa un fenomeno tutt’al più passeggero, negli ultimi mesi sembrerebbe essere aumentato il ritmo di adozione degli strumenti di IA, all’estero come in Italia.

Secondo un recente paper scientifico di economisti, tra gli altri di Stanford e della Banca Mondiale, che hanno condotto una survey estesa della popolazione adulta americana prima a dicembre del 2024 e poi tra marzo e aprile di quest’anno, si è passati nello spazio di pochi mesi dal 30,1% al 43,2% di utilizzo al lavoro. Tra quelli che la usano un terzo afferma di farlo ogni giorno. Trend confermato dall’analisi delle ricerche condotte su Google della parola ChatGPT che negli scorsi mesi ha toccato sia negli Stati Uniti che a livello mondiale picchi mai raggiunti in precedenza.

E anche in Italia, che pure parte da un livello di diffusione della tecnologia non paragonabile a quelli dei Paesi più avanzati, qualcosa si muove. Secondo una recente analisi della piattaforma di Digital Analytics MyMetrix di Comscore, il 28% degli utenti internet in Italia ha utilizzato almeno un’applicazione di intelligenza artificiale nel mese di aprile, con un incremento del 31% di utenti e del 51% del tempo speso negli ultimi quattro mesi.

Eppure siamo un Paese nel quale gli utilizzi dell’IA sono presentati nel dibattito politico e sui media quasi sempre in termini limitativi o apocalittici, con continui richiami a regole stringenti per limitarne i paventati impatti negativi e petizioni rassicuranti quanto talvolta pleonastiche sui temi etici. Dimenticando quello che dovrebbe essere l’obiettivo principale, cioè quello di facilitarne un uso consapevole e soprattutto al servizio della produttività e della crescita di un Paese moderno. Che certamente deve passare in primis, come per tutte le innovazioni di frontiera, dalla sperimentazione sul campo attraverso un processo by trial and error.

In quest’ottica, il rischio principale, al di là del tanti evocati spesso a sproposito di disruption economico-sociale e come sembrerebbero confermare i più recenti dati a disposizione, è che i singoli individui si rendano perfettamente conto dei benefici potenziali derivanti dall’uso dell’intelligenza artificiale mentre le organizzazioni pubbliche e private, a partire dalle piccole e medie imprese che costituiscono la spina dorsale del nostro sistema produttivo rimangano inerti, strette tra il timore di infrangere regole presenti e future e la necessità di dotarsi di strutture organizzative, procedure di intervento e codici etici prima ancora di comprendere come l’IA possa aiutarle a crescere e ad essere competitive.

Come suggeriscono gli ultimi dati dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, se l’81% delle grandi aziende italiane ha avviato o sta valutando progetti di IA - percentuale comunque inferiore alla media europea, pari all’89% - le PMI faticano a stare al passo: solo il 7% delle piccole imprese e il 15% delle medie hanno avviato progetti in questo ambito.

Un’adozione dell’IA lasciata solo all’intraprendenza degli italiani sarebbe evidentemente un’occasione perduta. Gli agognati aumenti di produttività ed efficienza non possono che essere infatti il frutto di percorsi aziendali e amministrativi consapevoli. E allora non si può pensare di cavalcare l’onda della maggiore trasformazione tecnologica contemporanea senza prevedere strumenti concreti che accelerino l’adozione da parte delle PMI.

Ecco perché il disegno di legge governativo sull’intelligenza artificiale, in attesa di ricevere il via libera parlamentare, appare finora un’occasione mancata perché fissa paletti più che liberare risorse. E, unito alle incertezze europee sull’AI Act e alle questioni di compliance che quest’ultimo solleva, rischia di frenare più che incoraggiare. Promuovendo una narrativa per la quale l’IA è innanzitutto una tecnologia dalla quale proteggersi con le amorevoli cure dello Stato etico.

Laddove invece sarebbe il momento di passare dalle parole ai fatti, prima che l’ennesimo treno tecnologico parta senza passeggeri italiani a bordo. Questa volta, a differenza del passato, a una velocità che lo renderebbe non più recuperabile.